Gli Alumni raccontano

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La sfida è sempre comunicare

Comunicare in tempo di crisi rappresenta veramente una grande sfida. Solo con gli strumenti e la preparazione opportuna è possibile farlo, per via delle esigenze e delle difficoltà che tale compito presenta.
Mi chiamo padre Pedro Pablo Aguilar e sono un sacerdote diocesano del Venezuela. Mi sono laureato presso la Pontificia Università della Santa Croce nel giugno del 2013, ho attualmente 36 anni e 10 anni di ministero sacerdotale. Tornando nel mio paese, avrei dovuto lavorare in un progetto che la mia diocesi di appartenenza aveva già preparato, e che era l’esatta applicazione della mia tesi: si trattava di un progetto per la creazione di una radio diocesana. Ma immediatamente dopo il mio arrivo, il presidente della commissione dei media della Conferenza Episcopale Venezuelana (CEV), Mons. Roberto Lückert, mi ha chiamato per prendere servizio come direttore del dipartimento di mezzi di comunicazione della CEV.
Accettando quell’incarico, mi sono subito trovato in grande difficoltà per la crisi che attraversa attualmente il mio paese: ci troviamo davanti a una situazione che invece di migliorare, tende al peggioramento.
Tuttavia, questa difficoltà non è stata un impedimento a svolgere un efficace lavoro nel dipartimento. L'esperienza è stata positiva e anche fonte di tante soddisfazioni, soprattutto perché ho potuto mettere in pratica tutto ciò che avevo imparato durante il tempo di studio, cosa che mi ha permesso di crescere ogni giorno professionalmente.
Ho avuto l'opportunità di occuparmi di varie cose, non soltanto come capo del dipartimento: ho fatto anche il fotografo (ho perso il conto del numero di foto che ho scattato, ma l’esperienza mi è piaciuta); inevitabilmente, ho dovuto organizzare conferenze stampa, scrivere comunicati, gestire le relazioni con i giornalisti; vado regolarmente in radio e in televisione per fare dichiarazioni su ciò che dicono i vescovi del mio paese, come anche per parlare di quei temi controversi sulla chiesa che interessano i media.
Si tratta di una grande responsabilità che consiste nel cercare, pianificare, realizzare e valutare tutto quanto riguarda le attività del dipartimento in attuazione del programma triennale della CEV.
Ho dovuto riorganizzare, per non dire ricostruire daccapo, il dipartimento, che era senza direttore da molto tempo. Ma siccome mi piacciono le sfide, ho preso la cosa con grande senso di responsabilità.
Come direttore di comunicazione, supervisiono il lavoro che viene svolto in tutte le diocesi. In ogni diocesi si tengono incontri formativi sulla comunicazione, e approfitto di questa opportunità per incontrare i giornalisti e visitare le sedi dei mezzi di comunicazione presenti in ogni regione.
Une delle cose che sono piaciute ai giornalisti sono gli incontri di formazione su “linguaggio e informazione religiosa”. Questi incontri hanno permesso loro di realizzare una migliore copertura soprattutto quando il Papa ha visitato il nostro continente.
Attualmente tengo un programma radiofonico di informazione e opinione ecclesiale istituzionale chiamato “Iglesia Venezuela”. Il progetto radio nella mia diocesi va avanti. Abbiamo infatti già il permesso di iniziare a trasmettere.
Ho avuto l'opportunità di visitare molti paesi dell'America Latina dove sono stato invitato a parlare di comunicazione istituzionale, cosa che ho fatto con molta gioia e con la volontà di essere un servitore della comunicazione.
Dopo quasi tre anni di servizio a capo di un dipartimento di comunicazione, posso dire che le esperienze sono molteplici e arricchenti. Ci sono anche momenti di difficoltà, ma questi momenti difficili sono anche una fonte d'ispirazione per non arrendersi nel trasmettere speranza e costruire ponti di comunione.

Pbro. Pedro Pablo Aguilar
Venezuela

Dio non ci ha abbandonato

"God has not abandoned us and he will not" (Dio non ci ha abbandonato, e non lo farà), è uno dei passaggi della lettera che il Vescovo Anthony Borwah, della Diocesi di Gbarnga (Liberia) e alumno della Facoltà di Comunicazione (classe 2001) ci ha indirizzato nei giorni scorsi.

Mons. Borwah racconta la sua esperienza da uno dei territori colpiti dal fenomeno dell'ebola, "che ha decimato famiglie e popolazioni intere". Proprio per questa ragione, non ha potuto partecipare al Sinodo sulla famiglia dello scorso ottobre, dove era stato designato come rappresentante della Conferenza Episcopale della Liberia.

Il suo stesso padre spirituale, il missionario spagnolo Miguel Pajares, è deceduto lo scorso agosto in Spagna dopo aver contratto il virus mentre operava come medico nell'ospedale di Monrovia.

Intanto la sua diocesi sta facendo il possibile per combattere il virus, con campagne di informazione ed educazione alla salute ma anche attraverso la preghiera: fino al 30 novembre, in ogni chiesa, si prega il Santo Rosario con questa intenzione.

La comunità accademica della Santa Croce conferma la sua vicinanza alle popolazioni colpite dal fenomeno e invita a unirsi in preghiera.

Testimonianza di Mons. Borwah rilasciata a CNS

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Storia di una ordinazione sacerdotale in Cina

Sono cinese e nel mese di agosto sono stato finalmente ordinato sacerdote, mi piacerebbe molto condividere con voi quest’esperienza così forte nella mia vita. Innanzitutto vorrei ringraziare Dio per la sua infinita misericordia e infine ringrazio voi perché, con le vostre preghiere, avete fatto sì che tutto ciò si avverasse.

Ripensando a quello che mi è successo non posso non affermare che la mia ordinazione è avvenuta sotto la protezione di Dio data la difficile situazione che stiamo vivendo. Penso al mio Vescovo, per esempio, che ha paura di uscire dalla cattedrale perché finora non è stato riconosciuto dall'Associazione Patriotica. 

Tutto è iniziato il giorno 30 di Agosto, il giorno della mia ordinazione sacerdotale, un’infinita grazia e un profondo senso di responsabilità mi hanno fatto sentire tutta la loro importanza.

Avevo avuto notizia di questo gioioso evento appena cominciato il mio ritiro annuale. Ero stato colto alla sprovvista quando il Rettore mi aveva chiesto di fare la richiesta, ancora non ci credevo e pensavo che tutto fosse uno scherzo.

Solo il giorno dopo avevo compreso che quello che mi stava accadendo era reale, nonostante fossi diacono da oramai due anni.

Ma ecco il grande giorno, ecco che sentivo palpitare dentro di me la paura di non poter essere un buon sacerdote.

Con tutti questi pensieri che mi balenavano nella testa mi ero avviato verso la Cattedrale assieme ai pochissimi fedeli che quella sera avrebbero partecipato alla Santa Messa. Finita la Messa ci era stato detto di salire al secondo piano di un palazzo dove avremmo trovato una cappellina, con delle suore che ci aspettavano.

Di fronte al tabernacolo però nuovi sentimenti mi hanno pervaso, Gesù m’incoraggiava a non pensare più a quello che sarebbe stato il mio futuro, in fin dei conti nessuno lo può conoscere: il mio futuro era nelle mani di Dio!

Poi mi dicevo: quello che veramente importa è vivere il presente, è da come viviamo il nostro oggi che dipenderà il nostro futuro.

Calava la sera, erano le 22:30 quando cominciò la messa e ricordo chiaramente le parole che ripetevo a me stesso: Signore ti offro tutta la mia vita!

Finito il rito dell’ordinazione si è avvicinato il vescovo e mi ha detto: durante ogni Santa Messa che celebrerai ricordati sempre di farlo con l’intenzione di offrirti a Lui e di ringraziarLo sempre.

Due cose che continuano ad illuminare il mio percorso sacerdotale di questi primi mesi e che spesso, quando celebro la messa, mi vengono in mente: offrire e ringraziare.

A mezzanotte tornammo a casa a piedi, l’emozione era così viva che non avevo nessuna voglia di dormire e allora mi misi a scrivere queste parole:

Oggi sono stato ordinato sacerdote, non ci sono fiori, né applausi e nemmeno una gran folla di gente.
Ma sono soddisfatto perché il Signore si è consegnato tutto a me, mi ha chiesto di lasciare tutto (quando invece volevo una famiglia), mi ha detto che la mia veste è la croce, quando io volevo una casa.
Oggi sono diventato un sacerdote, un sabato, giorno della Madonna, lo stesso sabato in cui Gesù rimase nel sepolcro.

Sono felice perché sono suo, perché sento l’abbraccio materno della Madonna.

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