Le (buone) ricette del vivere quotidiano: le norme sociali (capitolo 2)
Quando i membri di una comunità percepiscono il bene comune come qualcosa che contribuisce al proprio bene individuale, rispettare le regole diventa (quasi) un gioco da ragazzi.
La nostra Rubrica di oggi si ricollega, in parte, alle riflessioni del nostro ultimo appuntamento. In quell’occasione, ispirandoci al lavoro di Cristina Bicchieri (docente di Pensiero sociale ed Etica presso l’Università della Pennsylvania) concludevamo affermando che il bene deve essere capito, condiviso, desiderato per poter rispettare le norme, che ne permettono la fruizione.
Anche la rubrica di oggi è ispirata ad una donna (la quota rosa delle nostre rubriche non è un fatto programmato…), Elinor Ostrom (1933 – 2012). Politologa ed economista statunitense, prima donna a vincere il Premio Nobel per l’Economia (2009) per aver mostrato come le persone comuni possano gestire in maniera efficace i beni e le risorse comuni attraverso la creazione di norme ed istituzioni ad hoc.
Tra i tanti temi affrontati da Elinor O., ho avuto la fortuna di approfondire le sue riflessioni su quelle comunità che gestiscono in maniera autonoma l’utilizzo di risorse naturali. Si tratta di “sistemi” in cui le persone che condividono l’utilizzo di una risorsa, stabiliscono le norme e le istituzioni per la sua più efficace gestione. Attraverso lo studio di numerose comunità di questo tipo, Elinor O. individua una serie di principi (design principles), comuni ai sistemi più virtuosi. Vorrei soffermarmi in particolare sul seguente principio: le persone che condividono la risorsa partecipano alla creazione e alla modifica delle norme che ne regolano l’utilizzo. E vorrei presentarvi un piccolo caso.
Tra le tante comunità osservate dalla studiosa americana, vi è la Chisasibi Cree, una comunità canadese che vive e fiorisce attorno all’utilizzo della risorsa ittica. Ora, le stesse persone che godono della risorsa ittica partecipano alla determinazione delle regole per il suo sfruttamento. È impressionante (ma anche abbastanza evidente) che le regole vengano rispettate, in maniera abbastanza naturale (è presente anche un sistema di sanzioni). Ma perché?
Una ragione mi sembra essere che in questo caso è chiaro, per i membri della comunità, il fatto che la regola abbia un senso, cioè un fine. Detta altrimenti: appare evidente che la regola non ha senso in sé (non è fine a sé stessa), ma ha senso solo ed esclusivamente in virtù del bene che permette di godere. I pescatori della Chisasibi Cree la vogliono rispettare perché vogliono godere del pescato, che mantiene in vita la propria famiglia e le famiglie della comunità.
Perché questo discorso è importante, a mio avviso? Perché illumina il senso delle regole e il “segreto”, o almeno uno dei segreti per favorirne il rispetto. Occorre innanzitutto che (1) le persone capiscano il bene che quella regola permette, produce, tutela; che (2) percepiscano quel bene come proprio, cioè un bene che li riguarda. E perché no, se quel bene mi riguarda, è anche cosa mia, perché non poter (3) partecipare al processo di decisione delle norme che ne regolamentano l’uso?
Ho capito, sento il bene come caro, ed ho contribuito in parte a regolamentarlo… Adesso posso prendere seriamente in considerazione anche l’idea di rispettarle quelle regole!
Il dialogo continua con Juan A. Mercado, Professore di Etica presso la Pontificia Università della Santa Croce in questo breve video:
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