As part of its seminar activity, the Markets, Culture and Ethics (MCE) Research Centre organized the webinar series Humanistic Management: In the Market, which Culture to act according to Ethics?.
For some years now, there has been much talk about a New Humanism. Behind this phrase there are two possible interpretations. One is that of exclusive humanism, the exaltation of the human person in his or her abilities and potential. A positivist, materialistic and progressive perspective of the human being who finally discovers himself as super-man thanks to the work of his own hands and considers himself more and more omnipresent, omniscient, and omnipotent. Alongside this Promethean vision, there is the New Humanism which has its roots in the Christian tradition. From this point of view, the appeal for a new humanism on the part of many popes is a warning to remain human, to rediscover oneself human, all, without distinction of any kind, to put the person (the work of God) at the center of the attention of society, and not the so-called technical-scientific progress (the work of his hands).
*This project has received funding from the EU's Horizon 2020 research and innovation programme under the Marie Sklodowska-Curie Grant agreemnt No. 795925.
As part of its article series, the Markets, Culture and Ethics(MCE) Research Centre promotes #The PhD Student Series edited by Giulia Latella, MCE Research Assistant. Insights, reflections and dialogues starting from Epistemology are contextualized within the contemporary debate. Giulia's PhD experience at the University of Navarra (Pamplona) and Luiss Guido Carli (Rome) is the starting point of her reflection, which aims to address topics ranging from the social value of norms to the relationships between technology and the common good. The series' goal is to combine an intellectual reflection with an accessible language. The series hosts the speeches of academic personalities, such as Prof. Marta Bertolaso (Campus Bio-Medico University of Rome), but also from the community of practitioners, such as Marco Bentivogli (former secretary of CISL Fim).
Nell’ambito delle sue Rubriche, il centro di ricerca Markets, Culture and Ethics(MCE) promuove #La rubrica di una dottorandaa cura di Giulia Latella, assistente di ricerca presso MCE. Approfondimenti, riflessioni e dialoghi a partire dall'Epistemologia, declinati secondo i temi del dibattito contemporaneo. L'esperienza di dottorato presso l’Università di Navarra (Pamplona) e la Luiss Guido Carli (Roma) è il punto di partenza della Rubrica che, in un linguaggio attuale e snello, affronta tematiche che spaziano dal valore sociale delle norme, ai rapporti tra tecnologia e bene comune, alle riflessioni sui commons.
L'obiettivo è quello di unire un elemento di approfondimento intellettuale ad un linguaggio sobrio, accattivante ed accessibile. La Rubrica ospita anche l’intervento di personalità del panorama accademico, come la prof.ssa Marta Bertolaso (Università Campus Bio-Medico di Roma), ma anche della comunità dei practitioner, come Marco Bentivogli (ex-segretario della CISL Fim).
Il secondo contributo della nostra Rubrica è dedicato al tema delle norme sociali. Questa volta l’ispirazione nasce dall’opera di Cristina Bicchieri, filosofa italo-americana docente di Pensiero sociale ed etica presso l’Università della Pennsylvania (Philadelphia).
Come al solito, sono andata a spulciare l’etimo della parola «norma». Ho scoperto così che il termine latino («nórma») indicava la squadra per misurare gli angoli retti. Secondo alcuni, il termine avrebbe la stessa radice della parola conoscenza. Mi pare evidente allora che la norma è uno strumento in vista di un fine (una squadra è uno strumento per misurare), e quindi che le norme siano volte a produrre qualche tipo di risultato. Non solo. Le norme hanno la “capacità” di farci conoscere qualcosa di un determinato ambito. Pensiamo ad esempio ai manuali d’istruzione (di cui siamo circondati nelle nostre case!): ci danno informazione (dunque conoscenza) delle regole di funzionamento di un determinato “oggetto”. Quando per esempio giochiamo ad un gioco da tavola, la prima cosa che facciamo (o almeno i più “ligi” di noi…) è leggere le regole del gioco: queste ci descrivono il funzionamento del gioco, ci danno quindi conoscenza del gioco, ma ci permettono anche di giocare e di divertirci. Producono quindi un risultato.
Mi piace, e mi pare utile, allora accostare al termine norma il termine ordine; perché? Perché l’ordine esprime una finalità – essere ordinato a qualcosa -, e ci dice anche qualcosa di come qualcosa è fatto. Proprio come le norme.
Ma qual è il fine delle norme sociali?
Le norme sono quindi in vista di un fine, producono cioè un risultato. E le buone norme producono buoni risultati. Ad esempio: se seguo una certa ricetta (una ricetta non è forse un elenco di regole?), otterrò - o quantomeno dovrei ottenere… - un determinato “risultato”, cioè un determinato piatto. È innanzitutto il tipo di piatto che voglio ottenere che determina gli ingredienti e i passaggi della ricetta. Se voglio preparare un ciambellone, la ricetta mi indicherà una certa quantità di zucchero. Ma se desidero cucinare una torta salata, la ricetta mi indicherà di mettere il sale nell’impasto (scambiarli sarebbe un problema)! Dunque il tipo di regola da adottare dipende dal risultato che voglio ottenere: prima chiarisco l’obiettivo (ciambellone o torta salata?), poi potrò stabilire le norme (zucchero o sale?).
Questo ragionamento è elementare, ma non per questo senza utilità. Proviamo a spostarci dai fornelli alla società. In questo campo non troviamo più “ricette”, ma norme sociali. La nostra Cristina Bicchieri definisce le norme sociali delle norme informali (e quindi non codificate come può essere un corpo di leggi), pubbliche e condivise, la cui trasgressione non prevede sanzioni formali (una multa, ad esempio), ma può prevedere sanzioni informali – esclusione dal gruppo, gossip, censura etc. Qualche esempio? Dare del lei ad una persona più anziana, non dare le spalle etc.
Quante volte le norme sociali ci sono sembrate solo un "buon costume", una bella etichetta, senza che ne capissimo il significato? E dunque abbiamo finito per non seguirle, o peggio ancora, per seguirle senza capirne il senso.
Riprendendo il ragionamento sul fine delle norme, ovvero il risultato che le regole permettono di ottenere, mi sembra importante sottolineare che per poter aderire “profondamente” ad una norma sia necessario capirne innanzitutto il senso. Capirlo, ma non per il semplice gusto di capirlo, quanto piuttosto per poterlo poi anche desiderare. E che cos’è il senso di una norma se non il bene che quella norma mi permette (o non mi permette) di godere? Senza questa consapevolezza, la norma mi sembrerà senza senso (senza direzione…), vuota, formale, priva di contenuto; mi chiederò perché la devo seguire – e magari mi sentirò socialmente “costretto” a seguirla -, il che provocherà in me frustrazione, e non produrrà nemmeno il risultato desiderato: il godimento di un bene.
Il bene deve essere capito e desiderato per favorire il rispetto delle norme che regolano la nostra società.
Il dialogo continua con Marco Bentivogli, ex-segretario FIM CISL ed ora coordinatore nazionale di Base Italia.